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Addebito nella separazione, come evitarlo

Se iniziare un percorso di vita coniugale può essere da molti considerato un momento di felicità, viceversa porvi fine, talvolta, può rappresentare un vero e proprio inferno per i coniugi che, sovente, finiscono per combattersi senza esclusione di colpi. Per evitare tuttavia che dalla separazione possano derivare conseguenze gravi, in primis l’addebito per colpa, con relativa perdita del mantenimento e tutte le altre conseguenze previste in tal caso dalla legge, sarebbe il caso di evitare certi comportamenti che possano poi penalizzare, in sede di separazione, e porre chi li mette in atto in una situazione di soccombenza.

Benchè la pronuncia di addebito dipenda da un complesso di valutazioni che il giudice compie tenendo conto anche delle proprie esperienze e conoscenze, in generale può dirsi che l’addebito segue la violazione di un obbligo posto a fondamento del matrimonio nella sua reciprocità di diritti e doveri.

Esaminiamone i casi più importanti sulla base delle fondamentali pronunce della Cassazione.

Infedeltà

La relazione extraconiugale, che non deve essere solo di natura platonica (potendo rientrare in questa tipologia anche quella che si sostanzi di soli contatti telefonici o tramite internet), può essere motivo di declaratoria di addebito per colpa quando ponga in essere una violazione alla dignità del coniuge, offeso per effetto di una conclamata relazione, oppure per effetto di atti di vanto del coniuge tenuti dinanzi ad amici di famiglia, o anche nel caso in cui vi siano degli atteggiamenti che, per quanto non esplicitamente manifesti, generino plausibili convinzioni dell’esistenza di un rapporto adulterino. Ciò che si mira a tutelare è la dignità e l’onore del coniuge tradito, e la declaratoria potrà seguire solo la dimostrazione che la relazione extraconiugale è stato il motivo sostanziale che ha “rotto”  l’unione familiare fino a quel momento esistente. In particolare si deve guardare alla sostanza: non potrà essere motivo di addebito una relazione extraconiugale che si instauri dopo la rottura dell’armonia familiare, quando cioè non possa dirsi causa ma conseguenza.

Rifiuto di rapporti sessuali

Tale causa estrinseca il venir meno della comunione di interessi, intesa nella sua accezione globale, che include anche l’intesa sessuale. Quando la ricerca dell’altro a letto diviene motivo di rifiuto o di scontro, il partner rifiutato potrà chiedere ed ottenere l’addebito del coniuge ove dimostri che  tale comportamento di chiusura sia determinato da manifesta repulsione o indifferenza nei suoi confronti. È evidente infatti la situazione di disagio posta a carico del coniuge che si vede leso nella sua sfera più personale. La violazione in questo caso, infatti, è proprio dell’art. 143 c.c. ove viene previsto l’obbligo del coniuge all’assistenza morale, in cui rientra anche l’evitare situazioni che gli possano arrecare danno psicofisico.

Ove poi il rifiuto di rapporti sessuali abbia proprio lo scopo di denigrare il partner, anche piccole espressioni di tale intento diverranno rilevanti per il diritto e per la conseguente valutazione del giudice sull’esistenza o meno dei presupposti per la declaratoria di addebito.

Abbandono del tetto coniugale

Questo è senz’altro il più conosciuto ed il più comunemente richiamato motivo di addebito della separazione.

L’abbandono del tetto coniugale infatti fa venir meno proprio il presupposto base del matrimonio: la convivenza. E’ solo mediante un rapporto continuo e stabile sotto lo stesso tetto, ossia presso la casa coniugale, che si svolge la vita familiare intesa come comunione di affetti e di mezzi. Abbandonare il tetto coniugale significa non voler più partecipare a ciò che accade all’interno, prendendo le distanze da chi vi abita. Tuttavia l’abbandono può trovare giustificazione in comportamenti altrui che sottraggono chi abbandona dall’applicazione della regola dell’addebito.

Molte sono le pronunce avute dalla Suprema Corte a riguardo, ma volendo dare un’unitarietà alla casistica possiamo affermare che l’abbandono si giustifica solo in presenza di comportamenti altrui che rendano intollerabile rimanere in quella casa, quali, a titolo di mero esempio, i continui litigi, l’aver subito violenza, o l’inclusione della suocera nel menage familiare.

Violenza e maltrattamenti

Nel caso in cui un coniuge dia vita, anche per una sola volta, ad episodi di violenza  quali percosse, o atti che ledano l’integrità fisica e morale,  si ritiene che l’equilibrio della coppia sia irrimediabilmente compromesso in quanto sia venuto meno il requisito della parità della coppia e della reciprocità degli interessi al cui fondamento vi è il rispetto per l’altro in tutta la sua persona. In casi di violenza, infatti, si prescinde anche dal valutare se tali comportamenti siano stati primari o di reazione, non potendosi legittimare mai una simile modalità di vivere il rapporto e di ripristino di equilibri momentaneamente messi in bilico. La violenza fisica, come anche quella morale perpetrata attraverso comportamenti  continuamente vessatori posti in essere con l’unico fine di sminuire ed indebolire la psiche del coniuge, è questo il caso del mobbing, lede i diritti fondamentali della persona, ed in quanto lesiva dell’integrità fisica e morale non può essere ammessa né giustificata in alcun ambito, meno che mai all’interno del matrimonio, dove il rispetto dell’altro  è sostanza del rapporto stesso.

Impossibilità a procreare

Il fine primario del matrimonio è quello di creare un proprio nucleo familiare da parte dei coniugi. Tale possibilità si basa anche sulla capacità, oltre che sulla volontà, di avere dei figli che possano completare e soddisfare il desiderio di realizzazione all’interno della società del coniuge  anche in veste di genitore. Al di là di tutte le implicazioni ad ogni livello della persona che tale qualità di genitore può comportare, limitatamente a questa sede, si prenderà in esame solo il comportamento del coniuge che neghi la propria incapacità a procreare: per la giurisprudenza questo è da considerarsi  causa di addebito. Si badi bene che non è l’incapacità in se ad essere motivo di addebito, ma il comportamento volto ad impedire la conoscenza  dell’altro della possibile o sicura inettitudine a procreare. Diverso è invece il caso di chi, pur essendo teoricamente capace a procreare, si sottrae a tale possibilità solo per una propria convinzione. In questo caso, ove non vi sia stata una condivisione di intenti fin dal principio, non potrà essere considerato colpevole in coniuge che dia vita ad una relazione extraconiugale al fine di realizzare all’esterno del matrimonio, data l’impossibilità di farlo all’interno, il proprio diritto alla genitorialità. E’ ovvio che queste sono indicazioni generiche, dovendosi valutare tutte le componenti caso per caso, ma in generale, si può affermare che sottrarre l’altro coniuge alla possibilità di avere dei figli è da considerarsi motivazione grave  a giustificazione della separazione, da cui può derivare anche una pronuncia di addebito.

In sintesi

Ogni qualvolta vi sia la violazione, ad opera di un coniuge, di uno dei doveri fondamentali posti alla base della reciprocità del matrimonio, ex art. 143 c.c., sarà possibile richiedere la pronuncia di addebito della separazione, ove si riesca a dimostrare che la fine del matrimonio sia dipesa da tale violazione che abbia reso impossibile ed intollerabile la prosecuzione della convivenza nonché il vincolo coniugale. Giammai potrà essere dichiarata la responsabilità del coniuge che abbia posto in essere un comportamento incompatibile con gli obblighi matrimoniali, ove però il vincolo fosse già stato sciolto per effetto di una crisi preesistente. 

Avv. Daniela D'Alessandro
Avv. Daniela D'Alessandro

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