L’art. 16 della nostra Costituzione garantisce una delle libertà più importanti dell’individuo: la possibilità di libera scelta della propria residenza. Tale diritto consente di svolgere la propria esistenza nel luogo che si preferisce indipendentemente dalla volontà altrui.
La scelta del luogo ove stabilire la propria residenza, tuttavia, spetta solo a chi ha raggiunto la maggiore età, rimanendo nell’ambito della responsabilità genitoriale, da svolgersi di comune accordo ex art 316 c.c., la scelta della residenza abituale del minore.
La scelta della residenza del minore
Il minore, dunque, non ha facoltà di scelta della propria residenza abituale, ma questa spetterà congiuntamente ai genitori. Se però tale affermazione è quasi intuitiva nei casi di famiglia tradizionalmente intesa, ove sotto lo stesso tetto coabitano sia i genitori che i figli, la stessa trova applicazione anche in quei casi in cui sia venuta meno l’unione familiare tra coniugi per effetto di separazione. Anche in tal caso, infatti, la scelta spetterà ad entrambi che continuano ( tranne in rarissimi casi) ad esercitare congiuntamente la potestà genitoriale.
Solitamente la residenza del minore coinciderà con quella del genitore collocatario. La regola, pertanto, è quella secondo cui sia in caso di unione familiare che in caso di separazione tra coniugi, la scelta della residenza del figlio minore spetti ad entrambi i genitori, che agiranno di comune accordo.
Non sono marginali, però, i casi in cui l’accordo non si raggiunga, e questo soprattutto in quelle ipotesi in cui il genitore collocatario decida di spostare la propria residenza altrove, rispetto a quella ove ha sede la casa coniugale, volendo portare con se il minore.
Essendo sempre valida la regola del comune accordo tra i genitori per la residenza del figlio, e non venendosi a trovare un accordo in tal senso, solo il giudice potrà valutare il caso e scegliere la residenza del minore nel suo esclusivo interesse, o autorizzando il cambio di residenza come chiesto dal genitore collocatario, o trovando altra soluzione che sia in grado di garantire il benessere del minore soprattutto in vista della necessità di rapporto continuativo con entrambi i genitori.
E’ bene ricordare che il genitore che trasgredisse a tale regola, portando con sé il figlio in assenza di accordo in tal senso, compie non solo un illecito dal punto di vista civilistico, ma anche un reato e, pertanto, sarà passibile di sanzione penale.
Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione (sent. 33452 del 2014) ha ritenuto, infatti, di poter identificare nel suddetto caso sia un’ipotesi di reato quale la sottrazione di persona incapace, sia il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, comminando, nel caso specifico, una pena pari a 9 mesi di reclusione per la madre che si era allontanata dalla residenza stabilita, trasferendosi in un’altra città insieme alla figlia minore, ad una distanza di 600 km dal padre.
In sintesi la Suprema Corte, con la richiamata sentenza ha ribadito l’illegittimità della condotta del genitore che, senza aver prima ottenuto il consenso dell’altro, si arroghi il diritto di allontanarsi unitamente al minore dal domicilio che era stato scelto ( oppure lo trattiene presso di se, nel caso di genitore non collocatario), impedendo all’altro genitore di esercitare le diverse e molteplici facoltà e funzioni genitoriali , siano esse di cura, di assistenza, di educazione o di semplice manifestazione di affetto, compromettendo negativamente il regolare e naturale rapporto genitore-figlio, da tutelarsi sempre in vista del il superiore interesse del minore ad avere entrambe le figure nella propria vita.
La richiamata sentenza, in realtà si pone in linea con le precedenti autorevoli pronunce in tale ambito, volte ad affermare con forza la natura di illecito anche dal punto di vista penale della condotta del genitore che, senza il consenso dell’altro, disponga della residenza del minore.
Tuttavia la stessa affermazione sembra porsi in contrasto con quanto riportato dalla nuova disposizione contenuta nell’art. 337/2 sexies C.C., entrato in vigore nel febbraio 2014:
“In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.”
6Ma a ben vedere il contrasto è solo apparente.
Se a prima vista, infatti, la nuova norma sembra autorizzare il genitore separato a stabilire autonomamente e legittimamente altrove la nuova residenza del minore, alla sola condizione dell’avvenuta comunicazione all’altro genitore, contestualizzando la norma con gli altri principi presenti nel nostro ordinamento giuridico in materia, si deve ritenere che legittimo sia quel trasferimento di residenza o domicilio comunicati entro 30 giorni, che però lasci inalterata la possibilità di rapporto con l’altro genitore che, cioè, sia compatibile con quanto disposto dal giudice in tema di suddivisione e condivisione dei compiti genitoriali. Ove tale cambio non concordato influisca in modo negativo sul rapporto del minore con l’altro genitore, o comunque comporti un pregiudizio in termini di benessere per lo stesso, esso non potrà essere considerato legittimo.