Se è vero che l’art. 3 della nostra Costituzione afferma un inviolabile diritto, quale quello dell’uguaglianza di tutti i cittadini, nell’ambito del diritto di famiglia talvolta si è notato una chiara violazione del principio, con una netta preferenza delle donne sugli uomini quando si tratta di collocazione prevalente dei figli a seguito di separazione dei coniugi.
L’ago della bilancia si sposta verso la madre ogni qual volta ci si trova davanti alla necessità di scegliere uno dei due genitori come il genitore che fisicamente convivrà per la maggior parte del tempo coi figli, pur in presenza di affido condiviso. La scelta materna, che riveste l’80% dei casi circa, trova giustificazione nella (errata) convinzione che la madre sia maggiormente predisposta a rispondere alle varie esigenze dei figli rispetto al padre che, purtroppo, nella stragrande maggioranza dei casi, viene relegato a figura minore nella vita dei figli, ed al quale spetta quasi esclusivamente il compito di provvedere alle esigenze economiche che la crescita e l’educazione dei figli comporta, mediante corresponsione dell’assegno di mantenimento mensile.
La Cassazione a colpi di sentenze ha creato un vero e proprio modello di riferimento da seguire in caso di separazione dei coniugi in presenza di figli minori, ovvero l’affidamento prevalente dei figli alla madre a cui spetta, pertanto, l’assegnazione della casa familiare anche a spese esclusive dell’ ex coniuge, tenuto a contribuire fortemente al solo mantenimento. In questo modo, però, contrariamente allo spirito della legge che nel 2006 disponeva in merito all’affidamento condiviso come scelta necessaria ad assicurare la continuità nella vita dei figli del rapporto con entrambi i genitori, l’affidamento, pur nella formula della condivisione, viene di fatto svuotato dei suoi contenuti più importanti, ovvero la possibilità di “vivere” i figli in maniera attiva. La motivazione di tale prassi è da ricercare nella (opinabile) convinzione, frutto di antichi retaggi socio-culturali, che il padre, ovvero l’uomo, sia predisposto a lavorare ed abbia come ruolo fondamentale quello di mantenere la famiglia, mentre la moglie/madre, in quanto donna, sia più portata per la vita familiare incarnando un ruolo fondamentale ed imprescindibile nella formazione ed educazione dei figli.
Ma i tempi per fortuna evolvono, e così anche le convinzioni non sono destinate a durare in eterno.
Ecco allora che con una sentenza a dir poco innovativa rispetto al passato, anche quello più prossimo – basti pensare che solo nel mese di settembre 2006 la Cassazione (sez. I, 14 settembre 2016, n. 18087)si era espressa in segno contrario avallando una lunga tradizione – dispone in modo diverso a favore del padre, argomentando sulla innegabile ineguaglianza compiuta dall’attuale consuetudine giurisprudenziale.
La sentenza sez. I, ord. 9 dicembre 2016 Trib. di Catania compie lo strappo, puntando l’attenzione sull’ingiustificata presunzione del maggior valore di una madre rispetto ad un padre, cosa che di fatto non viene ad essere dimostrata mai. Il Giudice in questione evidenzia come non sia applicato nei Tribunali italiani il principio della bigenitorialità voluto dalla legge, e quanto questa preferenza della madre (il cosiddetto: “principio della maternal preference”) rispetto al padre nasca da una concezione superata ed in contrasto con la norma sull’affido condiviso ( Legge 4/2006) che sottolinea invece la parità genitoriale come condizione necessaria per la tutela e nell’ottica dell’interesse del minore.
In particolare nella richiamata sentenza emessa dal Tribunale di Catania si afferma che, “in mancanza di prove del contrario, entrambi i genitori si devono presumere idonei a esercitare le loro responsabilità e a divenire affidatari e/o collocatari dei figli”.
Si mette alla berlina, così, il velato pregiudizio dei giudici italiani rispetto all’ inadeguatezza del padre a svolgere il ruolo di educatore al pari della madre, alla quale spetterebbe l’affidamento ed il collocamento dei figli, quasi secondo un ordine “naturale”.
Ma tale ordine “naturale” non è, ed allora, nell’interesse del minore, il giudice caso per caso dovrà valutare se affidare il figlio minore alla madre risponda ad una reale prevalente esigenza, da motivare e giustificare, rispetto alla scelta dell’altro genitore.
La scelta compiuta dal giudice di Catania è coraggiosa, optando per l’abbandono definitivo di una vecchia concezione matriarcale nell’affidamento dei figli, a prescindere dalla realtà dei fatti e delle varie situazioni.