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Immigrati e unioni civili

L’equiparazione sostanziale tra unioni civili e matrimonio avutasi con l’entrata in vigore della Legge Cirinnà, ha permesso che ai soggetti dello stesso sesso, che siano parte di un’unione civile, si applichino tutte quelle norme contenute in leggi, regolamenti o altre fonti del diritto previste per i coniugi uniti in matrimonio,  di modo che ogni qualvolta in una norma vi sia il richiamo al termine “coniuge” questa stessa norma si riferirà anche alle parti di un’unione civile. In particolare il richiamo fatto dalla Legge Cirinnà  alla parificazione tra coniuge e parte facente parte di un’unione civile è reso esplicito al comma 20 dell’articolo 1.

La portata innovativa dell’entrata in vigore della suindicata Legge è enorme, ed il suo potenziale è destinato a crescere sempre di più e ad assumere sempre più importanza in ogni ambito del diritto.

Volendo circoscrivere l’esame delle fattispecie che sono venute a crearsi nella realtà conseguenti a tale Legge, al solo ambito dell’acquisto della cittadinanza per lo straniero o delle leggi che regolano l’immigrazione, avremo che oggi  tutte le norme che si riferiscono alle “mogli” o ai” mariti”  si applicano anche all’altra metà dell’unione civile.

Così i requisiti richiesti dalla legge italiana per l’ottenimento di permessi di soggiorno per motivi familiari da parte del coniuge straniero, o le condizioni per chiedere il ricongiungimento familiare col coniuge per lo straniero che viva regolarmente in italia, saranno uguali sia che si tratti di coniuge straniero che di soggetto straniero parte di un’unione civile.

Le coppie omosessuali, pertanto, che si siano unite civilmente, avranno le prerogative dei coniugi in merito alla richiesta di diritto di soggiorno per il partner non italiano dettato da motivi familiari,  o per la richiesta di ricongiungimento del partner straniero quando l’altra parte, pur essendo straniera, risiede comunque sul  nostro territorio in forza di un permesso per un regolare lavoro o altri motivi.

In ambito europeo, le norme che stabiliscono la libera circolazione dei cittadini europei e dei propri congiunti  si applicano anche ai partner delle unioni civili, ed in particolare si mira a garantire sempre sia l’ingresso che la permanenza limitando a pochi casi limite la possibilità di espulsione ( proprio come avviene anche per i coniugi.

La legge però tace sui conviventi di fatto, non operandosi in tal caso alcun richiamo ed alcuna equiparazione ai coniugi. Ciò è stato il frutto di una precisa scelta del legislatore che ha voluto assicurare maggiore tutela alle situazioni che presentino un grado di certezza dell’unione maggiore. E così sono da escludersi tali norme sopra richiamate per i conviventi di fatto, che siano registrati all’anagrafe o meno ed indipendentemente dal fatto che abbiano registrato un contratto di convivenza, siano essi eterosessuali che omosessuali. Nessuna rilevanza dunque è stata attribuita alla durata della convivenza o  alla stabilità della stessa nonché  alla considerazione dell’intensità del vincolo affettivo. Inoltre questa  mancata equiparazione è presente anche nella legge attuativa della direttiva europea in tema di regolarità del soggiorno del partner straniero: la legge attuativa italiana, infatti, ritiene applicabili le norme europee solo ove la coppia omosessuale abbia contratto l’unione civile in uno Stato che, secondo la propria legge, uguagli l’unione civile al matrimonio nell’ambito del proprio ordinamento giuridico.

Avv. Daniela D'Alessandro
Avv. Daniela D'Alessandro

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