L’argomento in questione è stato più volte affrontato dalla giurisprudenza trattandosi di uno dei tempi più scottanti in dirtto di famiglia ovvero il mantenimento dei figli.
Recenetemente la Corte di Cassazione è tornata ad occuparsi dell’argomento con un’ordinanza (la n. 21817/21 del 29.07.2019) con la quale ha espresso un principio basilare secondo cui più avanza l’eta del figlio e più è ragionevole presumere che lo stato di inoccupazione del medesimo sia dovuto a inerzia personale (non giustificabile) piuttosto che a ragioni esterne.
Già da tempo si ritiene che, arrivato alla soglia dei 30/35, anni il figlio non possa e non debba gravare più sui genitori ma debba fare i conti con la realtà e abbassare eventualmente le prorie aspettaive lavorative (in buona sostanza deve “accontentarsi”).
Il figlio che alla soglia dei 40 non ha ancora trovato un’occupazione deve – al fine di poter vantare il diritto di essere ancora mantenuto dai genitori – dimostrare di essersi adoperato per la ricerca di un impiego (quindi dimostrare di essersi iscritto ai centri per l’impiego o dimostrare di aver inviato curricula alle aziende o ancora di aver partecipato a concorsi o a selezioni del personale etc…)
Intorno ai 40, infatti, sostiene la Corte, è difficile credere che il figlio disoccupato non abbia avuto almeno qualche occasione lavorativa (evidenemente rifiutata) ed è, quindi, presumibile che il suo stato di disoccupazione sia dovuto ad una sua inerzia o mancanza di volontà piuttosto che a oggettive circostanze esterne legate al mercato del lavoro.
In buona sostanza dunque – secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza – il genitore non è tenuto a mantenere il figlio oltre la ragionevole soglia dei 35/40 anni di età e a sua volta il figlio che pretenderà di essere mantenuto dovrà dimostrare di essersi alacremente adoperato per la ricerca di una sistemazione lavorativa. Non basterà infatti dichiarare di svolgere lavori saltuari (che non consentono un’autonomia economica) per avere diritto al mantenimento, ma sarà necessario dimostrare di aver svolto una accurata e seria ricerca lavorativa e tale onere probatorio incombe sul figlio che ritiene di aver eventualmente (ancora) diritto al mantenimeno.
Nell’ordinanza in esame la Corte ha chiarito, infatti, che non basta dichiarare di non aver trovato un’occupazione stabile ma è necessario dimostrare “l’impegno profuso dal figlio nella ricerca effettiva di un’occupazione”, tenuto conto dell’età elevata (nel caso di specie circa 40 anni) e del fatto che lo stesso aveva terminato gli studi da oltre 10 anni.
In definitiva, non essendoci un limite massimo stabilito dalla legge, oltre il quale il figlio non ha più diritto al mantenimento, la questione viene risolta secondo i principi base enunciati dalla giurisprudenza nel corso del tempo.
In linea di massima, possiamo ben affermare che tutto dipende dal percoso scelto: se un figlio ha deciso di non intraprendere un percorso di studi, il suo obbligo di attivarsi per cercare un’occupazione scatta già al compimento dei 18 anni di età; mentre se un figlio ha deciso di intraprendere un percorso formativo accademico (università, master, corsi di specializzazione etc..) allora egli avrà diritto ad essere supportato anche economicamente dai genitori in questa scelta e presumibilmente avrà diritto al mantenimento fino ai 30/35 anni di età, ovvero fino a quel limite di età che gli avrà consentito di acquisire conoscenze e preparazione adeguata al suo inserimento nel mondo del lavoro.
Superato tale limite – secondo la giurisprudenza – il figlio, rimasto inoccupato nonostante la preparazione accademica, dovrà abbassare le proprie pretese e accontentarsi di quanto offerto dal mercato del lavoro.
L’eventuale richiesta di revoca dell’assegno di mantenimento da parte del genitore obbligato andrà presentata mediante ricorso in Tribunale argomentando le ragioni per le quali si ritiene non più dovuto il mantenimento.