Nell’immaginario collettivo comune, in caso di separazione tra coniugi è la moglie a dover essere “mantenuta” dall’ex marito, il quale, in costanza di matrimonio, assicurava col proprio lavoro quel determinato tenore di vita, che l’assegno di mantenimento mira ad eguagliare anche a seguito di separazione ( sulla funzione del mantenimento, vedi: ASSEGNO DI MANTENIMENTO ED ASSEGNO DIVORZILE: COME SI CALCOLA?)
Tuttavia il nostro legislatore non si è mai espresso nel senso della univocità del dovere di mantenimento, ben potendo, dunque, essere la moglie a dover versare il contributo al mantenimento del marito. Ciò si verifica quando il reddito di lei è superiore a quello del marito e pertanto il tenore di vita, avuto durante il matrimonio, a cui si rapporta l’entità dell’assegno, veniva determinato soprattutto dalle capacità economiche della moglie.
Il caso tipico è quello della donna in carriera che, nella divisione dei compiti familiari, ha potuto fare affidamento su di una grande collaborazione del marito che, rinunciando ad un lavoro di responsabilità ben retribuito, si è dedicato prevalentemente alla crescita dei figli. In questo caso, ove vi fosse una crisi coniugale che sfoci in separazione, sarà la moglie ad essere obbligata al mantenimento del marito, quale soggetto economicamente più fragile.
Assegno di mantenimento a carico della moglie
Ciò che conta tener presente è la funzione tipica dell’assegno di mantenimento, ossia quella di garantire al soggetto economicamente più debole quei mezzi di sostentamento che gli assicurino una qualità ed un tenore di vita simili a quello goduto durante il matrimonio, quando questi non possa procurarseli da solo.
Giuridicamente l’art. 156, secondo comma, cod. civ, nel prevedere misura ed entità del mantenimento, fa riferimento ai redditi propri dell’obbligato; tale norma va rapportata con l’art. 143 cod. civ circa i reciproci diritti e doveri assistenziali tra coniugi.
Dal combinato disposto dei due articoli ne discende che, per la determinazione dell’assegno, che rientra tra gli atti di dovere assistenziale reciproco, debbano essere tenuti in conto anche i redditi personali propri di ciascuno, ossia anche quelli derivanti da proprietà di beni immobili, da rendite di famiglia, da titoli e depositi di danaro, oltre naturalmente ai redditi da lavoro.
Non deve sorprendere pertanto, la possibilità anche per una casalinga, che abbia un reddito personale non dipendente da lavoro, di vedersi attribuito l’obbligo al mantenimento del marito, ove questi non sia oggettivamente in grado di procurarselo da solo attraverso propri mezzi adeguati. Quest’ultima valutazione spetterà al giudice il quale potrà prevedere anche una diminuzione del patrimonio personale dell’ex coniuge se reputa che ciò sia indispensabile per garantire i mezzi di sostentamento dell’altro.
Ove il coniuge più forte economicamente sia la moglie, pur se tali risorse economiche derivino da redditi personali e non da lavoro in quanto casalinga, il giudice può costringere quest’ultima a versare l’assegno a favore dell’ex coniuge.