Chi provvede al mantenimento i figli quando i genitori si separano? Ci sono regole a cui attenersi per determinare la misura del mantenimento? Sono questi i classici quesiti posti dai genitori che stanno per intraprendere il percorso delle propria separazione coniugale.
CHIEDI UNA CONSULENZA TELEFONICAMolte sono state le pronunce della Cassazione volte a rispondere a tali domande, talvolta sviscerando il contenuto sotteso a sintetiche norme previste a riguardo. È proprio dal dato normativo, però, che bisogna partire per identificare nel modo più preciso possibile il valore dell’assegno che il Giudice stabilirà come contributo al mantenimento dei figli da parte del genitore che lascerà la casa familiare.
Al mantenimento dei figli devono provvedere entrambi i genitori. Ciascuno parteciperà a seconda delle proprie capacità e proporzionalmente al reddito proprio, dove i compiti assolti da un coniuge nella cura domestica avranno, comunque, una propria valenza economica.
Di quanto hanno bisogno i figli per essere mantenuti nel “modo giusto”?
Bisognerà valutare in primo luogo le attuali esigenze dei figli, partendo dai primari bisogni alimentari, sanitari, scolastici, abitativi. Non di minor importanza, però, sono quelle spese da tenersi per assicurare un corretto sviluppo caratteriale e di inserimento sociale del minore, tenuto conto anche delle sue propensioni personali da incoraggiarsi da parte dei genitori; in definitiva, per il computo delle spese gravanti sui genitori, dovrà considerarsi necessario tutto ciò che assicuri la giusta cura materiale e morale dei figli.
Nella suddivisione delle spese, i tempi di abitazione del minore con ciascun coniuge sarà fattore determinante per la quantificazione dell’assegno.
La valutazione del Giudice, chiamato a fotografare una situazione di vita familiare per dare i primi provvedimenti in ordine del mantenimento dei figli, si baserà, come primo parametro a cui attenersi, sul tenore di vita goduto dai minori fino a quel momento. Sarà demandato ad una fase successiva del processo l’analisi puntuale con verifiche fiscali, delle risorse reddituali di ciascun coniuge, al fine di una decisione che sia la più equa possibile nel contemperare le esigenze in gioco.
Per raggiungere questo fine il Giudice potrà disporre anche di accertamenti da parte della Polizia Tributaria o nominare un CTU col compito di verificare la conformità tra quanto dichiarato e quanto risulta a tutti gli organi di Amministrazione finanziaria mediante verifiche incrociate ( Vedi: Linee guida sulla consulenza tecnica d’ufficio nei procedimenti in materia di rapporti familiari), quando i redditi dichiarati da una o entrambe le parti, siano palesemente in contrasto con uno stile di vita elevato, o comunque diverso, documentato in giudizio.
Il magistrato ha infatti ampi poteri di accertamento e di ricerca delle reali consistenze patrimoniali di ciascun genitore, riconducibile al suo primario compito di garante dell’interesse del minore, che si traduce anche nell’assicurare lui il mantenimento dello stile e delle abitudini di vita avute in costanza di matrimonio dei genitori, prima della crisi coniugale e della successiva rottura dell’equilibrio familiare.
L’ampia discrezionalità del giudice chiamato a determinare il valore del contributo al mantenimento dei figli è mitigata da una serie di pronunce giurisprudenziali che hanno tentato di uniformare i parametri applicati ai singoli casi. Dunque, fermo restando la posizione primaria del magistrato nella valutazione delle condizioni economiche e delle particolari esigenze specifiche riscontrate nel singolo caso concreto, criteri di massima sono andati via via creandosi fino a costituire dei modelli di calcolo, pur se la loro applicazione non è resa obbligatoria dalla legge, rappresentati dalle cosiddette “Tabelle”. Queste tendono a semplificare il calcolo stabilendo, ad esempio, che il coniuge che non abita in modo prevalente col minore, in presenza di un reddito medio da stipendio da circa € 1200 a 1600 mensili, debba versare una quota pari al 25% all’unico figlio da mantenere, o al 40% in presenza di due figli, al 50% per 3 e così via. Tuttavia, giova ricordare, che le tabelle non tengono conto di eventuali altre risorse economiche, quali possono essere titoli azionari, buoni fruttiferi, conti correnti, rendite finanziarie di altro genere o redditi da locazione di proprietà immobiliari.
L’applicazione delle Tabelle con la personalizzazione del calcolo, alla luce delle specifiche esigenze e peculiarità delle singole fattispecie affrontate da parte del Giudice, ai fini della determinazione dell’assegno mensile quale contributo dell’ex coniuge al mantenimento dei figli, può tuttavia non esser necessario quando i genitori concludono un accordo che assicuri un giusto mantenimento e la giusta cura dei figli, pur discostandosi dai criteri tabellari pocanzi descritti. Il Giudice, dunque, in presenza di accordo in ordine al mantenimento dei figli, concluso tra ex coniugi, sarà tenuto solo a valutare che siffatto accordo assicuri il benessere dei minori, ben potendo discostarsi dalle tabelle e dai criteri giurisprudenziali ad hoc creati.