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Violenza e addebito

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Recentemente la Cassazione (sesta sezione penale, ordinanza n. 3923/201) si è trovata ad affrontare la vicenda di una coppia ove ciascuna delle parti accusava l’altra di essere stata causa dell’intollerabilità della prosecuzione della vita coniugale. In particolare se al marito veniva attribuita la colpa di essere stato per il proprio comportamento violento causa della crisi coniugale, dall’altra si affermava che era stato il tradimento della moglie ad aver determinato la fine del matrimonio.

Ciò che la Suprema Corte ha compiuto con la richiamata sentenza è mettere in evidenza che nessuno dei due comportamenti dei coniugi scusa l’altro, nel senso che se un comportamento che sfocia in violenza da parte di un coniuge è di certo motivo di addebito della separazione, allo stesso modo il tradimento della moglie è da considerarsi motivo di addebito della separazione, tenuto conto che la scelta di violare il dovere di fedeltà che nasce dal matrimonio non può trovare valida giustificazione nella condotta dell’altro.

La Corte mette ben in rilievo che non basta indicare semplicemente che venivano manifestati durante la vita matrimoniale degli atteggiamenti aggressivi per far scattare l’addebito al marito e giustificare la condotta della moglie che tradisce, dovendo quest’ultima puntualmente dimostrare che tali atteggiamenti avevano determinato una crisi irreversibile tale da rendere l’accertata infedeltà successiva alla crisi ed alla fine dell’affectio coniugalis. Tale circostanza dovrà essere provata, in particolare chi afferma che il tradimento non è da considerarsi tale poiché il matrimonio era già in crisi, avrà l’onere di dimostrare che i comportamenti violenti del marito hanno avuto un peso tale nella vita di coppia che questa risultava già essere stata irrimediabilmente interrotta, dimostrando cioè l’efficacia causale della violenza manifestata dal marito durante il matrimonio rispetto all’ intollerabilità della prosecuzione della convivenza.

Con tale sentenza la Corte da un lato ribadisce ancora una volta l’importanza del rispetto degli obblighi nascenti dal matrimonio, tra cui il dovere alla fedeltà nei confronti del coniuge, la cui violazione giammai potrà trovare giustificazione in comportamenti tenuti dall’altro, per quanto essi stessi suscettibili di censura. L’obbligo alla fedeltà, uno dei perni della unione tra marito e moglie, può considerarsi venuto meno solo a seguito di crisi e di accertata impossibilità alla prosecuzione della vita coniugale; anzi, a tal proposito, si ricorda che la violazione dell’obbligo alla fedeltà alla base dell’addebito della separazione ex art. 151 c.c. si palesa anche quando i comportamenti di un coniuge diano adito a  sospetti di infedeltà tali da offendere, indipendentemente dall’adulterio vero e proprio consumato o non, la dignità e la rispettabilità dell’altro. D’altro lato tale sentenza mette in rilievo anche e soprattutto una rigida distribuzione dell’onere probatorio dove chi richiede l’addebito dell’altro coniuge avrà la necessità di dimostrare attentamente e precisamente il nesso di causalità tra i comportamenti tenuti (siano essi di violenza o di infedeltà) dall’altro e la fine del matrimonio.

Avv. Daniela D'Alessandro
Avv. Daniela D'Alessandro

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