La crisi familiare determinata dalla separazione dei coniugi coinvolge per sua stessa natura anche i figli, obbligati a mutare le proprie abitudini di vita a seguito di un vero e proprio sconvolgimento dell’assetto familiare. Tuttavia l’interesse del minore deve essere sempre punto fermo da cui partire per ogni decisione attinente alla separazione stessa, di modo che i genitori in primis, ed il giudice poi, ridefiniscano i nuovi rapporti salvaguardando sempre, rispetto ad ogni altro interesse, l’interesse del minore a crescere nel miglior modo possibile ed evitando al massimo traumi che possano determinare conseguenze anche per lo sviluppo futuro.
In siffatto contesto deve essere letta ed interpretata anche la regola che si desume dall’ordinanza 12957 della Corte di Cassazione del 24 maggio 2018 ove viene sancito un diritto quasi inviolabile dei figli a crescere insieme, ovvero l’obbligo per i genitori separati di far vivere sotto lo stesso tetto fratelli e sorelle. L’ordinanza riporta l’attenzione sull’interesse del figlio a salvaguardare almeno l’integrità di certi rapporti, quale quelli di fratellanza e sorellanza, che non possono né devono subire gli effetti negativi propri di una separazione. L’unica eccezione alla regola la si potrebbe ritrovare in quelle situazioni ove vi siano dei motivi tanto gravi da far decidere al giudice una divisione dei fratelli, per evitare loro conseguenze ancora peggiori che si avrebbero dalla convivenza.
Dalla lettura dell’ordinanza della Suprema Corte, dunque, emerge quasi un monito nei confronti del giudice di merito, che decide riguardo alla prole, di facilitare il più possibile il mantenimento dei legami affettivi, a maggior ragione ove vi sia molta conflittualità tra i coniugi, dove cioè già è alto il rischio di perdita del minore di termini di legami e di rapporto affettivo con uno dei genitori. La Cassazione, infatti, ritiene che il giudice possa stabilire una separazione tra i fratelli ma tale decisione debba essere supportata da una «motivazione rigorosa che evidenzi il contrario interesse del minore alla convivenza».
Se da un lato, dunque, viene richiamato il principio secondo cui è necessario salvaguardare il diritto dei figli a crescere insieme, nella stessa ordinanza viene sollevato però anche la possibilità che l’interesse del minore sia maggiormente assicurato interrompendo la convivenza con fratelli o sorelle. Il caso classico potrebbe essere quello in cui il minore stesso esprima una volontà in tal senso, ovvero una volontà precisa a convivere con un genitore presso cui, ad esempio, non sono stati collocati gli altri fratelli. Qual è la regola da applicarsi in siffatti casi? L’ordinanza non dà una chiara risposta al problema, limitandosi a stabilire che, nei limiti del possibile, il giudice è tenuto a decidere secondo la volontà espressa dal minore. Sarà poi compito dello stesso giudice motivare la propria decisione in modo così rigoroso, supportato anche dalle CTU che sempre accompagnano lo svolgimento di tali processi, da evitare che la decisione possa essere impugnata dinanzi al giudice di grado superiore, allungando inevitabilmente tempi e sofferenze legate al giudizio stesso.