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Provare il tradimento con le foto

L’esistenza di un comportamento adulterino da parte di un coniuge all’interno della vita matrimoniale di una coppia può essere molto pericoloso in caso di separazione, potendo il coniuge fedifrago rischiare l’addebito della stessa. Non sempre, però, il tradimento del coniuge può essere validamente portato tra i fatti di causa in un giudizio di separazione, essendo necessario che lo stesso sia provato ed in modo inconfutabile. A tal proposito, allora, ci si è chiesti: le fotografie scattate (anche a mezzo smartphone)  possono essere considerate come strumenti di prova del tradimento?

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La questione, che sembra di facile risoluzione, non è invece così scontata, tanto è vero che la Cassazione si è espressa proprio per chiarire le linee guida nell’utilizzo, o meno, delle foto che immortalano un momento di trasgressione o di vicinanza inequivocabile tra uno dei due coniugi ed un’altra persona.

Cassazione sent. n. 28665/2017

La Cassazione (sent. n. 28665/2017) ha chiarito in primis che la fotografia, pur se ritrae un momento vero, deve essere contestualizzata per poter validamente fornire l’elemento temporale certo che si riferisca ad un periodo successivo al matrimonio. La foto, dunque, se rappresenta solo un momento di vicinanza, non è in grado da sola di fornire la prova del tradimento, potendosi parlare di tradimento, o per meglio dire di adulterio, solo se questo è avvenuto in costanza di matrimonio.

Come deve essere allora la foto per poter essere considerata prova? L’immagine ritratta deve riuscire ad identificare anche il dato temporale e ciò significa che, ad esempio, dovrà ritrarre le due persone ma anche una prima pagina di un giornale da cui si desuma una data certa, oppure mettere in evidenza un dettaglio che può essere collocato solo in un determinato periodo successivo al matrimonio (ad esempio il riferimento ad un’auto acquistata dopo il matrimonio). Ma neanche ciò può bastare! Ebbene sì, la foto, per non essere considerata poco più che inutile carta, deve consentire l’identificazione temporale del periodo successivo al matrimonio, e soprattutto, non deve essere “disconosciuta” (ai sensi e per gli effetti dell’art.  2712 c.c.) ovvero contestata.

La Suprema Corte, cioè, non riconduce mai quanto ritratto in foto ad una verità inconfutabile di tradimento, ben potendo la parte accusata di adulterio giustificare in altro modo l’immagine contestandone pertanto il significato. Di modo che, l’essere stati immortalati in compagnia ravvicinata di una persona non solo non avrà alcun valore se nella foto non emerge anche altro dettaglio inequivocabile ed inconfutabile da cui si rileva il tempo a cui risale la stessa (successiva al matrimonio), ma, anche in presenza di tutto ciò, la parte potrà sempre diversamente argomentare e così contestarne il significato che presuntivamente viene dato all’immagine stessa.

Nessuna evidenza innegabile, dunque, si può ricavare dalle foto prescindendo dall’impossibilità di contestazione del soggetto immortalato.

Una volta assodato che la fotografia, contrariamente a quanto si era portati a credere, non è la massima prova in quanto espressione non manipolabile della realtà dei fatti, data la circostanza che potrà sempre essere contestata, ci si chiede allora quali foto possano essere portate in giudizio. In questo si è molto aperti: tutte le foto, provenienti da chiunque, possono formare elemento di prova, non essendo necessario che il coniuge abbia provveduto personalmente ad immortalare la scena compromettente. Via libera, allora, a foto proprie, di terzi, di investigatori, di amici ed anche a quelle foto “prese” direttamente dal telefono de traditore. In quest’ultimo caso di certo la contestazione, da parte del traditore, dovrà essere davvero ben strutturata per convincere il giudice della mancata veridicità dei fatti, così come affermata dalla parte tradita!

Avv. Daniela D'Alessandro
Avv. Daniela D'Alessandro

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